Attualità

Leon Zingales e… “I colori del Tempo perduto”

Leon Zingales

di Leon Zingales – In queste brevi vacanze estive cerco di comprendere sempre di più il valore del Tempo, con la T maiuscola, ove ogni singolo istante viene interiorizzato per lasciare un ricordo indelebile nell’anima dell’uomo, ossia nell’intimo luogo che è nascosto dai rumori del mondo, dal frastuono della modernità.

Nell’era del dominio dell’efficienza e della velocità, abbiamo dimenticato il melanconico Tempo dell’attesa e della contemplazione. Bergson distingueva il tempo fisico, ossia quello misurabile composto da grigi istanti tutti eguali, da quello della coscienza ove ogni istante era unico per durata, colore ed intensità.

CanaleSicilia

Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”
Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”.
(Lewis Carrol)

Nella fiaba “Momo” di Michel Ende questa incessante lotta viene declinata attraverso la contrapposizione tra Momo, la bambina protagonista della fiaba, e i Signori Grigi suoi terribili avversari, implacabili uomini di affari che, come vampiri, si nutrono del Tempo delle persone, dissanguando vita interiore e qualità delle relazioni.

Nell’era postmoderna la cappa di uomini grigi, imponendo ritmi frenetici, ha cercato di imporre la schiavitù del tempo fisico, creando un arido deserto di istanti identici, cercando di sradicare la libertà di farci cullare dal Tempo della coscienza. Hanno ridotto l’esistenza al flusso di istanti fisici che, come granelli di sabbia, scorrono tristi nella loro indistinguibilità nella clessidra che misura in maniera inesorabile e quantitativa i giorni, disabituandoci alla contemplazione della bellezza che dona senso al Tempo interiore e quindi alla vita.

Il tempo fisico, come dimensione meramente quantitativa, ha trasformato l’essere umano in un ingranaggio privo di anima, schiavo supino nel meccanismo dell’economia moderna, come mirabilmente espresso dal poeta Julio Cortazar “Non ti regalano un orologio, sei tu che sei regalato, sei tu il regalo per il compleanno dell’orologio”.

Ma sia chiaro: la ribellione alla schiavitù degli uomini grigi riguarda innanzitutto l’interiorità di ciascuno di noi. Solo noi, di fronte al color cenere della cappa, possiamo innalzare il baluardo dell’arcobaleno, ossia degli istanti interiori pieni di colori. Solo noi, alla mercificazione del tempo, possiamo opporre strenua resistenza ricercando l’istante del raggio verde, ultimo ricordo del Sole prima di nascondersi sotto l’orizzonte.

Il fanciullo sognatore che vive nei meandri della nostra anima deve incessantemente ripetere all’uomo grigio, la cui uniforme sovente indossiamo, le terribili quanto meravigliose domande che Momo rivolgeva al Signore Grigio che tentava di intimorirla: “Ma c’è qualcuno che ti ama? E tu, ami qualcuno?”

Che hai fatto in questi giorni? – io le chiesi.
T’ho aspettato. E tu?
Nulla. Ho desiderato di tornare.
Per me? – ella mi domandò, timida e umile.
Per te.
Ella socchiuse le palpebre, e un barlume di sorriso le tremolò sul volto. Sentii che io non ero mai stato amato come in quell’ora.
Disse, dopo una pausa, guardandomi con gli occhi umidi:
Grazie.
(Gabriele D’Annunzio)

© Riproduzione riservata.

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