Cronaca

Giornate che hanno segnato l’Italia: Falcone e Borsellino, vittime della mafia

Due tristi giornate che hanno segnato l’Italia:
l’uccisione di Falcone e Borsellino.

Sono trascorsi 31 anni da quel tragico 23 maggio in cui la mafia ha colpito duramente l’Italia. Quella sera, lungo l’autostrada A29 da Punta Raisi a Palermo, una violenta esplosione ha sconvolto tutto il Paese. La Fiat Croma che trasportava il giudice Giovanni Falcone è stata fatta saltare in aria da oltre quattrocento chili di tritolo. Nell’attentato hanno perso la vita anche sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta: Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista Giuseppe Costanza sono rimasti feriti. Nonostante il trasporto d’urgenza in ospedale, Falcone ha perso la vita poco dopo le 19.

Strage Capaci

La scena che si è presentata dopo l’esplosione era apocalittica. La potenza del tritolo ha creato una voragine sull’asfalto dell’autostrada, simile al cratere di un vulcano. Un’enorme colonna di fumo nero e denso si è alzata nel cielo, visibile anche a diversi chilometri di distanza. I detriti e le macerie si sono sparsi ovunque, testimoni silenziosi della violenza inaudita perpetrata dalla mafia.

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Strage Via D'Amelio

Ma la tragedia non si è fermata lì. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio del 1992, la via d’Amelio è stata teatro di un altro atto di estrema brutalità. Cosa Nostra ha colpito ancora, questa volta uccidendo il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Il sangue versato ha lasciato un segno indelebile nella storia del nostro Paese, un segno che ricorda la lotta incrollabile di questi uomini contro la criminalità organizzata.

Anniversario Falcone Borsellino 2023

Giuseppe Antoci: “Nessun passo indietro nella lotta alla mafia, commemorazioni servano al ricordo e alla riconoscenza ma commemorare quei valorosi uomini dello Stato vuol dire curarne la memoria attraverso la difesa di quelle norme che hanno fatto dell’Italia il Paese con la migliore normativa antimafia d’Europa e del mondo” .

Giuseppe Antoci, presidente onorario della Fondazione Caponnetto e ex presidente del Parco dei Nebrodi, è uno dei protagonisti di questa battaglia. Nel 2016 è stato vittima di un attentato mafioso, ma grazie all’intervento tempestivo della sua scorta armata della Polizia di Stato, è riuscito a salvarsi. Oggi, Antoci è giunto all’Aula Bunker di Palermo per partecipare alle commemorazioni.

L’agguato subito da Antoci e dai suoi uomini di scorta rappresenta un triste episodio, poiché è stato il primo attentato mafioso a un rappresentante delle istituzioni dopo le stragi del 1992. Tuttavia, grazie al lavoro instancabile di Antoci e all’inclusione del suo Protocollo nel nuovo Codice Antimafia, sono state effettuate numerose operazioni di polizia. Un esempio significativo è l’Operazione Nebrodi, che ha condotto al cosiddetto “Maxiprocesso Nebrodi”, con 91 condanne che hanno sommato più di sei secoli di carcere.

A dicembre scorso, i Carabinieri hanno scoperto un complotto ordito dai detenuti al regime carcerario 41 bis per assassinare Antoci. Da allora, la sua scorta è stata notevolmente rafforzata per garantirne la sicurezza ai massimi livelli.

Le parole di Antoci sottolineano l’importanza di non arretrare nella lotta contro la mafia e di preservare la memoria di coloro che hanno combattuto con coraggio. Egli richiama anche l’attenzione sulla necessità di difendere le leggi antimafia che hanno reso l’Italia un paese con una delle migliori normative in Europa e nel mondo.

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